Il giudice può discostarsi dalla volontà espressa dal minore se questa non coincide con il suo superiore interesse – Cass. n. 2947/2025

7 Aprile 2025

Abstract

Affidamento esclusivo della minore al padre e il suo collocamento presso la residenza paterna, nonostante la figlia abbia espresso la volontà di stare con la madre, perché i comportamenti ostruzionistici e manipolativi della madre ledono il diritto alla bigenitorialità della bambina.

Il caso

Dopo una lunga convivenza more uxorio, durante la quale nasce una bambina, sopravviene la crisi della coppia e i genitori si separano. La figlia minore viene affidata ad entrambi i genitori in via condivisa, con collocazione presso la casa della madre, fermo restando il diritto-dovere del padre di frequentare la bambina.

Successivamente, a causa dei comportamenti della madre che ostacolano la relazione padre-figlia, il padre ricorre al Tribunale di Napoli per chiedere la collocazione della minore presso di sé. Il giudice, riscontrando condotte della madre tali da escludere l’accesso del padre alla vita della figlia e impedire alla stessa di godere a pieno del suo diritto alla bigenitorialità, accoglie il ricorso e dispone l’affidamento esclusivo della figlia al padre e la residenza della bambina presso la casa paterna, con diritto di visita da parte della madre.

La madre propone reclamo alla Corte d’Appello di Napoli, che accoglie la domanda. In particolare, la Corte dispone l’ascolto della minore, la quale esprime la volontà di tornare a casa della madre. Pertanto, il giudice di secondo grado, pur non rilevando da parte del padre alcun comportamento scorretto né pregiudizievole nei confronti della figlia, dispone il ritrasferimento della minore presso l’abitazione materna.

Il padre ricorre contro la pronuncia della Corte d’Appello.

La pronuncia

Secondo la Corte di Cassazione nelle controversie che hanno ad oggetto l’affidamento e il collocamento dei figli minori va tutelato primariamente l’interesse superiore del minore, che consiste nel rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e a mantenere salde relazioni affettive con entrambi.

Ciò premesso, la Corte d’Appello ha errato nel modificare il regime di collocazione stabilito in primo grado per il solo fatto che la minore ha espresso la volontà di tornare dalla madre. Infatti, l’ascolto della minore e le dichiarazioni da lei rese, anche quando ricorrono elementi tali da ritenere che siano espresse con maturità e consapevolezza, non possono costituire l’esclusivo elemento in base al quale valutare il suo superiore interesse, specie in un quadro di rapporti familiari altamente conflittuali, come quello in esame, in cui sono stati accertati comportamenti apertamente ostativi, ostruzionistici e manipolativi da parte di un genitore, atti a limitare il diritto alla bigenitorialità della minore.

In particolare, prosegue la Corte, il diritto del minore di esprimere la propria opinione non deve essere interpretato nel senso di conferire un diritto di veto incondizionato al minore senza che siano presi in considerazione altri fattori per determinare il suo interesse superiore.

Ebbene, nel caso in esame risulta errata l’identificazione del superiore interesse della minore con la volontà da questa espressa di tornare a stare dalla madre. Infatti, nei precedenti gradi di giudizio sono emerse circostanze, che la Corte d’Appello erroneamente non ha considerato, che consentono di ritenere corrispondente all’interesse della minore l’affidamento esclusivo della stessa al padre e il suo collocamento presso la casa paterna.

Osservazioni

La sentenza in esame è rilevante soprattutto sotto due profili.

Anzitutto, merita attenzione l’istituto dell’ascolto del minore. In particolare, il diritto del minore ad essere ascoltato nelle procedure che lo riguardano, già previsto dagli artt. 315-bis e 336-bis c.c., è stato rafforzato dal D. Lgs. n. 149/2022 (cd. Riforma Cartabia), che, al dichiarato scopo di valorizzare la centralità dell’interesse del minore, lo ha inserito nel codice di procedura civile nel nuovo articolo 473-bis.4.

La norma prevede che il minore che ha compiuto i dodici anni e anche di età inferiore, se capace di discernimento, deve essere ascoltato dal giudice (c.d. ascolto diretto) nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Sarà, pertanto, il giudice personalmente a dover condurre l’ascolto del minore, ferma restando la possibilità di farsi assistere da un esperto in psicologia o neuropsichiatria infantile attraverso la procedura cosiddetta dell’ascolto assistito.

Il giudice non procede all’ascolto del minore solo in casi eccezionali e deve comunque fornire adeguata motivazione in relazione alle ragioni che lo hanno indotto a non procedere all’audizione.

La legge precisa che le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità. Tuttavia, la valutazione del giudice può non coincidere con quanto espresso dal minorenne in sede di ascolto, purché vi sia adeguata motivazione, come nel caso in esame.

Altro punto rilevante della sentenza è la valutazione del giudice circa le condotte ostruzionistiche e manipolative del genitore, tali da ostacolare il rapporto del minore con l’altro genitore.

L’importanza della valutazione del giudice è affermata costantemente dalla Suprema Corte (Cass. n. 4595 del 21/2/2025; Cass. n. 3576 del 8/2/2024; Cass. n. 9691 del 24/3/2022) anche di fronte a una CTU che diagnostica la PAS (Sindrome di Alienazione Parentale), ossia una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzi a causa del comportamento del genitore più influente (cd. genitore alienante), che fa in modo che il figlio rifiuti l’altro genitore (cd. genitore alienato).

In proposito, il Tribunale di Brescia con sentenza n. 815/2019 ha ben individuato una serie di sintomi che caratterizzano la PAS, tra cui:

  • il bambino imita i messaggi di disprezzo del genitore alienante contro il genitore alienato;
  • il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche e irrazionali;
  • il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mente l’altro genitore è “tutto positivo”;
  • il bambino afferma che ha elaborato da solo il disprezzo verso il genitore rifiutato;
  • la presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;
  • l’assenza di senso di colpa del bambino;
  • le affermazioni da parte del bambino “prese in prestito” dal genitore alienante;
  • l’estensione dell’ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

L’adozione di simili comportamenti, dunque, può essere valutata dal giudice per stabilire l’affidamento e il collocamento del figlio minore in caso di separazione dei genitori, anche contro la volontà espressa dal minore stesso: il desiderio manifestato dal figlio di vivere con uno dei genitori, quindi, potrebbe non rilevare se risulta che egli è manipolato ed influenzato negativamente da uno dei due genitori, che mette “in cattiva luce” l’altro.

Si noti che l’accertamento della Sindrome di Alienazione Parentale contenuto nella CTU non è di per sé sufficiente a disporre l’affidamento esclusivo del minore e il suo allontanamento dal genitore alienante, considerando gli effetti pregiudizievoli che un simile provvedimento avrebbe sul minore, privandolo di fatto di uno dei genitori. Occorre, in ogni caso, un’idonea valutazione del giudice su tutte le circostanze del caso concreto. In altri termini, il giudice non deve limitarsi a recepire acriticamente la CTU che accerta la PAS, ma deve verificare se la patologia ha riscontri comportamentali concreti tali da pregiudicare il minore.

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