Abstract Il diritto del titolare dell’assegno divorzile a una quota del TFR dell’ex coniuge viene meno se il TFR è stato destinato ad un fondo di previdenza complementare prima dell’avvio della causa di divorzio; tuttavia, le prestazioni di previdenza complementare percepite dal lavoratore possono comunque influenzare la quantificazione o la modifica dell’assegno divorzile a condizione che siano rispettati gli altri requisiti di legge. Il caso La controversia oggetto della pronuncia nasce dalla richiesta da parte dell’ex moglie, titolare dell’assegno divorzile, di ricevere la quota del TFR maturato dal marito durante il matrimonio. Quest’ultimo, tuttavia, prima della proposizione della domanda di divorzio, aveva destinato l’intero trattamento di fine rapporto già maturato ad un fondo di previdenza complementare. Il Tribunale di Lodi, investito della causa, ha accolto le istanze della donna, condannando l’ex marito al pagamento di una quota del TFR come stabilito dall’art. 12-bis Legge sul divorzio (Legge n. 898 del 1970). La Corte d’Appello, adita dalla parte soccombente in primo grado, ha riformato la decisione affermando che il versamento del TFR nel fondo pensione comporta un mutamento della natura giuridica del TFR da retributiva a previdenziale: pertanto, non è dovuta all’ex coniuge la quota di TFR per la parte conferita in fondo pensione prima dell’avvio del giudizio di divorzio. Insoddisfatta, l’ex moglie è ricorsa in Cassazione per far valere il proprio diritto alla quota del TFR destinato dal marito al fondo di previdenza complementare. La Corte di Cassazione La Suprema Corte ha ritenuto che se il lavoratore, legittimamente e secondo le regole della previdenza complementare, ha conferito il TFR già maturato in un fondo pensione prima dell’instaurazione del giudizio di divorzio, l’ex coniuge non potrà vantare alcuna quota di quel TFR, venendo meno il presupposto stesso dell’indennità di fine rapporto quale “somma percepita” dall’altro coniuge. L’art. 12-bis della Legge sul divorzio prevede, infatti, che il coniuge, titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, ha diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge. La norma, di chiara natura assistenziale-compensativa, mira a tutelare il coniuge economicamente più debole, consentendogli di partecipare in parte ai benefici economici dell’altro in occasione della cessazione del rapporto di lavoro. La giurisprudenza ha progressivamente precisato i presupposti del diritto in questione, chiarendo che esso nasce in modo automatico al momento della percezione del TFR da parte del lavoratore solo sugli importi corrisposti dopo la formulazione della domanda di divorzio. Ebbene, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20132 del 2025 ha introdotto un importante limite a tale automatismo, costituito dalle operazioni di destinazione del TFR a fondi di previdenza complementare effettuate prima dell’inizio del giudizio di divorzio. In particolare, i giudici di legittimità fondano la propria decisione su una interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 12-bis della Legge sul divorzio: la disposizione mira a tutere il coniuge debole in relazione a somme che costituiscono “ricchezza disponibile” del lavoratore al momento della cessazione del rapporto e non già rispetto a somme che, in virtù di scelte previdenziali lecite e anteriori al giudizio di divorzio, sono state destinate a finalità di previdenza complementare. Il conferimento del TFR ad un fondo pensione rappresenta un atto di destinazione consentito dall’ordinamento, che comporta la trasformazione della natura giuridica della somma da indennità di fine rapporto a posizione previdenziale personale, soggetta, pertanto, ad un regime autonomo. Ne consegue che il diritto ex art. 12-bis non può operare retroattivamente su somme che, prima dell’inizio del giudizio di divorzio, hanno perso la loro natura di TFR in senso proprio. Peraltro, la Suprema Corte precisa che le prestazioni di previdenza complementare percepite dal lavoratore potranno comunque rilevare ai fini della quantificazione o revisione dell’assegno divorzile, in quanto elementi della capacità economica complessiva dell’obbligato, evitando così che il conferimento del TFR in fondi pensione diventi un mezzo per eludere le obbligazioni economiche derivanti dal divorzio. Osservazioni La decisione in esame presenta importanti ricadute applicative poiché limita l’ambito di operatività dell’art. 12-bis della Legge sul divorzio, escludendo la possibilità che l’ex coniuge rivendichi una quota su somme ormai confluite in strumenti di previdenza complementare, purché ciò sia avvenuto prima dell’instaurazione del giudizio di divorzio e nel rispetto degli altri requisiti di legge. In tal modo, la Corte realizza un delicato bilanciamento tra l’esigenza di tutela solidaristica post-coniugale e la libertà individuale del lavoratore di gestire il proprio trattamento di fine rapporto secondo scelte previdenziali legittime. Per questi motivi, la sentenza n. 20132/2025 segna un passaggio significativo nella giurisprudenza in materia di rapporti economici post-coniugali: essa chiarisce che la tutela riconosciuta dall’art. 12-bis non ha natura sanzionatoria, ma compensativa, e pertanto non può spingersi fino a colpire atti di disposizione pienamente legittimi e anteriori alla crisi coniugale.