La determinazione dell’assegno di mantenimento ai figli alla luce delle ordinanze della Cassazione civile n. 25403, 25421 e 25534 del 2025

23 Ottobre 2025

La determinazione dell’assegno di mantenimento ai figli si colloca a metà strada tra il diritto del figlio ad una crescita equilibrata e il dovere dei genitori di contribuire secondo le proprie risorse.

L’art. 30 della Costituzione, insieme agli artt. 147, 315bis, 316bis e 337ter c.c., sancisce l’obbligo per entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche in caso di separazione o cessazione del rapporto coniugale.

La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione – con le ordinanze n. 25403, 25421 e 25534 del 2025 – ha ulteriormente chiarito i criteri che devono guidare il giudice nella quantificazione del contributo di mantenimento, offrendo una lettura sistematica fondata sui principi di bidimensionalità, di proporzionalità e di attualità delle esigenze del figlio.

La “bidimensionalità” dell’obbligo di mantenimento

Le ordinanze del 2025 ribadiscono che l’obbligo di mantenimento ha una natura bidimensionale: da un lato, esiste il rapporto genitore-figlio, informato al principio di uguaglianza ex art. 315bis c.c., in virtù del quale tutti i figli – a prescindere dallo stato civile dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati ed assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni.

Dall’altro lato, il rapporto interno tra i genitori è regolato dal principio di proporzionalità ex art. 316bis c.c., in base al quale ciascun genitore deve adempiere all’obbligo di mantenimento in proporzione alla proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, anche potenziale.

L’operatività di questi due principi esclude ogni automatismo nella determinazione dell’assegno di mantenimento ai figli, che non dipende da una proporzione aritmetica tra i redditi dei genitori, ma richiede una valutazione complessiva, che tenga altresì conto:

  • delle risorse non reddituali, ossia delle proprietà immobiliari, dei risparmi, degli investimenti o di altri beni patrimoniali;
  • della capacità lavorativa potenziale, cioè della possibilità concreta per ciascun genitore di produrre reddito, anche in base alla formazione, all’esperienza e all’età;
  • del contributo in natura e domestico fornito dal genitore convivente, che partecipa al mantenimento attraverso la cura diretta, l’assistenza quotidiana e la gestione familiare.

In sintesi, la Cassazione riafferma una visione sostanziale e realistica della capacità contributiva, in cui il giudice deve guardare non solo ai dati formali, ma al complesso delle risorse, delle possibilità e dei ruoli familiari. Solo così si può determinare un assegno proporzionato, equo e conforme all’interesse superiore del figlio.

Il principio di proporzionalità

L’art. 337ter c.c. elenca i criteri da considerare nella determinazione del contributo di mantenimento. La Corte di Cassazione (ordinanza n. 25421/2025) ha richiamato con chiarezza tali parametri, sottolineando l’importanza di interpretarli alla luce del principio di proporzionalità.

In particolare, il giudice nella determinazione dell’assegno deve valutare:

  • il tenore di vita goduto durante la convivenza familiare: dal momento che i figli non devono subire nocumento dalla separazione dei genitori, è importante che mantengano il medesimo tenore di vita che conducevano quando la coppia era unita;
  • i tempi di permanenza presso ciascun genitore, essendo possibile una riduzione dell’importo in ragione del periodo in cui il minore si trova con il genitore non collocatario, il quale, quindi, provvede direttamente a mantenerlo. 

Peraltro,secondo la giurisprudenza consolidata, ciò non significa che l’assegno può essere sospeso nel periodo di permanenza presso l’altro genitore. Se, ad esempio, durante le vacanze estive, per un mese intero, il bambino resta con il padre, questi non può sospendere la corresponsione dell’assegno alla madre, in quanto il mantenimento dei figli minori versato mensilmente non costituisce mero rimborso delle spese sostenute dal genitore affidatario nel mese corrispondente, bensì la rata di un assegno annuale, determinato tenendo conto delle esigenze della prole. Pertanto, anche se il figlio si trova presso il genitore non collocatario, quest’ultimo non può esimersi dal corrispondere il contributo, ma può chiederne la riduzione per il periodo in cui è stato con il figlio;

  • le risorse economiche complessive di entrambi i genitori, poiché la capacità contributiva dei genitori non si misura soltanto in base al reddito dichiarato, ma anche in base ad ogni altra risorsa economica e alla capacità di svolgere un’attività professionale o domestica (Cass. civ. n. 25403/2025).

Il principio di attualità delle esigenze del figlio

Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve applicare altresì il principio di attualità dei bisogni del minore.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 25421/2025), la valutazione delle necessità del figlio deve riferirsi alla situazione presente al momento della decisione, evitando proiezioni di lungo periodo o ipotesi indeterminate. Sono ammesse valutazioni prognostiche solo se riguardano eventi prevedibili e ordinari, come la prosecuzione degli studi o le spese scolastiche.

Inoltre, secondo la Suprema Corte, l’aumento delle esigenze del figlio con la crescita costituisce un fatto notorio, che non necessita di specifica prova e legittima la revisione dell’assegno anche in assenza di un miglioramento economico del genitore obbligato (Cass. civ. n. 25534/2025).

Conclusioni

Le pronunce della Corte di Cassazione del 2025 delineano una visione sostanziale e completa dell’obbligo di mantenimento basata su tre pilastri interpretativi:

  1. la bidimensionalità del rapporto, che tutela il best interest del figlio e l’equità tra genitori;
  1. la proporzionalità concreta, fondata non su automatismi matematici ma su un esame realistico dei redditi, delle risorse e delle capacità lavorative;
  2. la centralità delle esigenze attuali del figlio, che impone di adeguare costantemente la misura del contributo alla fase evolutiva del minore.

L’assegno di mantenimento ai figli presenta, dunque, una natura dinamica, poiché è destinato a modificarsi nel tempo in relazione alle mutate condizioni economiche dei genitori e ai bisogni evolutivi del minore. La dinamicità dell’assegno si manifesta nella possibilità di revisione giudiziale del contributo in caso di cambiamenti rilevanti nella situazione familiare.

In tal modo, l’assegno di mantenimento si configura come uno strumento flessibile e adattabile, capace di garantire nel tempo la tutela effettiva del best interest del minore.

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