Conto corrente cointestato per spese familiari: denaro e prelievi

28 Luglio 2025

Tribunale di Milano – sentenza n. 3810 del 10/5/2025

Abstract

In caso di conto corrente cointestato, i prelievi fatti dalla moglie per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale non determinano il diritto del marito al rimborso. Trattasi di adempimento dell’obbligo di contribuzione economica ex art. 143 c.c. che grava su entrambi i coniugi in proporzione alle rispettive capacità e sostanze.

Il caso

Il marito si rivolgeva al Tribunale di Milano per sentire condannare la moglie alla restituzione della somma di circa 42.000 euro che la stessa aveva prelevato in due anni dal conto corrente cointestato, con saldo iniziale di euro 69.095,38 destinato alle spese del nucleo familiare di sette figli.

Per scelta condivisa della coppia, poi separatasi, la moglie si era dedicata interamente alla cura della casa e all’accudimento della prole, con conseguente dipendenza economica dal marito, l’unico della famiglia a svolgere attività lavorativa retribuita.

A fondamento delle proprie pretese, il marito sosteneva di avere alimentato, con i propri stipendi, il conto corrente in via quasi esclusiva, e quindi di essere l’unico proprietario delle somme giacenti sul conto, nonostante la formale cointestazione. La moglie, a differenza del marito, aveva dato un contributo minore al conto comune, versandovi i canoni di locazione di un suo immobile.

Sulla base di tali premesse, l’attore assumeva che l’utilizzo delle somme di sua proprietà da parte della moglie per esigenze personali fosse indebito e, pertanto, ne domandava la ripetizione.

La convenuta si costituiva in giudizio domandando il rigetto della domanda perché infondata.

In particolare, la moglie negava la titolarità esclusiva in capo al marito delle somme depositate, così come l’illiceità dei prelievi.

La convenuta deduceva infatti di avere alimentato il conto corrente familiare e pertanto, vista la comproprietà degli importi, riteneva ingiustificata la richiesta di restituzione del marito per una somma superiore al 50% del saldo iniziale.

Quanto alla presunta l’illeceità dei prelievi, la moglie affermava e documentava che i pagamenti erano legittimi, perché il denaro prelevato dal conto comune, prima e dopo la separazione, era stato da lei utilizzato solo per le esigenze dei figli. E ciò anche in ragione delle difficoltà economiche in cui la medesima versava dopo la separazione, visto che il marito aveva smesso di mantenere i figli.

La decisione del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3810 del 10/5/2025, rigettava le domande attoree sulla base dei seguenti motivi:

  1. il marito, in qualità di attore, non ha provato in giudizio la titolarità esclusiva delle somme giacenti sul conto corrente, essendo stato al contrario dimostrato che il conto comune era alimentato da entrambi e destinato ai bisogni presenti e futuri della famiglia.
  2. É pacifico che i due coniugi si fossero accordati su un indirizzo familiare per il quale la sussistenza della famiglia dipendeva interamente dal marito, avendo la moglie rinunciato al lavoro per dedicarsi completamente alle incombenze domestiche e alla cura dei figli.
  3. La cointestazione del conto corrente costituisce specifica esecuzione dell’obbligo reciproco di assistenza materiale e di contribuzione ex art. 143 c.c., per cui entrambi i coniugi contribuiscono ai bisogni della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità.

La maggiore contribuzione del marito alle spese familiari è quindi coerente con l’assetto normativo vigente e non giustifica la domanda di rimborso azionata in giudizio: la moglie con il proprio lavoro domestico ha compensato quello svolto dal marito, quale unico percettore di reddito da lavoro per scelta condivisa dalla coppia.

  • Gli estratti conto prodotti in giudizio dimostrano che i prelievi dal conto comune non servivano per soddisfare spese personali della moglie, ma solo esigenze della famiglia e dei numerosi figli.

Osservazioni

Contitolarità conto corrente – Titolarità Ai sensi degli artt. 1854 e 1298, comma 2 c.c. sussiste una presunzione di contitolarità, in parti uguali, delle somme depositate presso un conto corrente cointestato. Questa presunzione legale può essere vinta se una delle parti dimostra che la proprietà delle somme non segue il criterio della cointestazione formale. Nel caso in esame, il marito non ha fornito elementi idonei a superare la presunzione di parti appartenenza del saldo di cui all’art. 1854 c.c. e, per l’effetto, il Tribunale ha ritenuto che le somme depositate sul conto comune fossero di proprietà di entrambi i coniugi.

Doveri di solidarietà familiare – Sotto diverso profilo, secondo il Giudice, la convenuta, pur avendo prelevato somme superiori alla quota di sua spettanza (ossia il 50% delle giacenze), non è tenuta a restituire alcun importo all’attore, perché ha impiegato le liquidità per i bisogni della famiglia in attuazione del principio di solidarietà coniugale. Infatti, secondo giurisprudenziale ormai costante “non si tratta quindi di ammettere che “sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un Euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua” quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra il A.A. e la B.B., sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione”. (Cass. 28772/2023). E ancora “Le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. – che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato -, non determinano alcun il diritto al rimborso (cfr. Cass. 18749/2004 10942/2015 e 10927/2018)”.

Lavoro domestico – Ma soprattutto, nel caso in commento il Tribunale ha rilevato – a latere dell’accertamento sulla contitolarità e degli obblighi di contribuzione ai bisogni della famiglia – il Tribunale ha affermato che la moglie ha contribuito con il lavoro domestico, nell’allevamento ed educazione dei sette figli: attività casalinga di pari rilevanza rispetto all’attività lavorativa remunerata al di fuori dell’ambito familiare prestata dal marito. L’attività casalinga deve infatti ritenersi funzionale al proficuo svolgimento del lavoro esterno del marito e rilevante sotto il profilo economico e finalizzate al mantenimento del complessivo tenore di vita della famiglia.

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