La gestione del patrimonio del minore tra ordinaria e straordinaria amministrazione nel diritto italiano – Approfondimento: l’esecuzione forzata

11 Giugno 2025

Abstract

Nel diritto italiano, i minorenni non hanno la capacità di agire e sono rappresentati dai genitori, che ne gestiscono anche il patrimonio. L’art. 320 c.c. distingue tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione: i primi possono essere compiuti da ciascun genitore singolarmente, mentre i secondi richiedono l’autorizzazione del giudice tutelare. La distinzione si basa sull’impatto patrimoniale dell’atto: solo quelli che incidono significativamente sul patrimonio del minore sono considerati straordinari. La giurisprudenza evidenzia che la valutazione va fatta caso per caso, secondo criteri oggettivi.

La questione

Nell’ordinamento giuridico italiano, i minori sono privi della capacità di agire in ambito civilistico. In ragione di ciò, l’ordinamento attribuisce ai genitori il potere-dovere di rappresentarli nonché di amministrarne i beni. Ai sensi dell’art. 320 c.c., entrambi i genitori congiuntamente, ovvero il genitore che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli minori, nati o concepiti, in tutti gli atti civili, fino al raggiungimento della maggiore età o dell’emancipazione, provvedendo altresì alla gestione del loro patrimonio. Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti autonomamente da ciascun genitore, mentre per il compimento di atti di straordinaria amministrazione è necessaria la previa autorizzazione del giudice tutelare.

Gli atti di ordinaria amministrazione si configurano come quelle operazioni giuridiche finalizzate alla conservazione, valorizzazione o miglioramento del patrimonio del minore, senza che ne venga alterata in modo significativo la consistenza o l’entità. Rientrano in tale categoria, a titolo esemplificativo, il pagamento di utenze domestiche, la gestione ordinaria di un conto corrente intestato al minore, nonché gli interventi di manutenzione ordinaria su beni immobili di loro proprietà.

Diversamente, gli atti di straordinaria amministrazione si caratterizzano per l’incidenza rilevante sul patrimonio del minore, potendo comportarne una modificazione sostanziale ovvero un pregiudizio economico. Costituiscono esempi di atti di straordinaria amministrazione: la compravendita di beni immobili, l’accettazione o la rinuncia a un’eredità, l’accensione di mutui, la costituzione di diritti reali di garanzia sui beni del minore, nonché la stipulazione di contratti di locazione di durata eccedente i nove anni.

La puntuale qualificazione degli atti che, in quanto eccedenti l’ordinaria amministrazione, richiedono l’autorizzazione del giudice tutelare non è rimessa in via esclusiva alla discrezionalità dell’interprete. In proposito, l’art. 320, comma 3, c.c. prevede un elenco di tipologie di atti specificamente individuate, precisando altresì che i genitori non possano porre in essere “altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione se non per necessità o evidente utilità del figlio”. Tale elenco, tuttavia, ha natura meramente esemplificativa e non esaustiva.

Permane, pertanto, un ampio margine di discussione circa i criteri da adottare per determinare se un determinato atto, pur non espressamente contemplato nel citato elenco, debba essere qualificato come eccedente l’ordinaria amministrazione, nonché in merito alle caratteristiche sostanziali che un atto rientrante in una delle categorie previste debba possedere per poter essere correttamente sussunto nella nozione di straordinaria amministrazione.

Secondo un orientamento consolidato in giurisprudenza, la qualificazione di un atto come rientrante nell’ordinaria o straordinaria amministrazione non può basarsi esclusivamente sul suo contenuto formale o sulla sua natura giuridica, bensì deve essere valutata alla luce della funzione concreta che l’atto svolge in rapporto al patrimonio del minore.

In tale prospettiva, devono considerarsi atti eccedenti l’ordinaria amministrazione tutti e soltanto quelli che incidono in maniera significativa sul patrimonio del minore, determinandone una diminuzione, una modifica strutturale o una potenziale compromissione. Non rientrano, invece, tra gli atti di straordinaria amministrazione quelli diretti alla mera conservazione, al miglioramento o all’incremento del patrimonio del minore.

La giurisprudenza ha affermato che, per essere qualificato come atto di ordinaria amministrazione, è necessario che lo stesso:

  1. risulti oggettivamente finalizzato – e idoneo – alla conservazione del valore e delle caratteristiche essenziali del patrimonio del minore, prescindendo dalle intenzioni soggettive del soggetto agente;
  2. abbia un valore economico non rilevante, sia in senso assoluto sia in rapporto all’entità complessiva del patrimonio del minore;
  3. implichi un grado di rischio contenuto, tenuto conto della consistenza del patrimonio stesso, nonché della natura e delle peculiarità dell’atto da compiere.

In assenza dei requisiti sopra indicati, l’atto deve essere qualificato come eccedente l’ordinaria amministrazione e, di conseguenza, sottoposto a previo vaglio e all’autorizzazione del giudice tutelare, ai sensi della normativa vigente.

L’esecuzione forzata

Con riferimento all’atto di precetto – ossia l’atto con cui il creditore, in forza di un titolo esecutivo, intima al debitore di adempiere alla relativa obbligazione, con contestuale avvertimento che, in mancanza di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata – la sua qualificazione come atto di ordinaria o straordinaria amministrazione deve essere effettuata avuto riguardo alla natura e all’oggetto della pretesa azionata.

In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che il precetto può rientrare nell’ambito degli atti di ordinaria amministrazione ai sensi dell’art. 320 c.c., qualora risulti strumentale alla tutela e conservazione del patrimonio del minore, in quanto connesso a provvedimenti giudiziari che incidono su situazioni giuridiche soggettive, sia di carattere personale che patrimoniale.

A sostegno di tale orientamento si richiama la pronuncia del Tribunale di Bari n. 2371/2015: chiamato a pronunciarsi nel giudizio di opposizione promosso dal padre contro l’atto di precetto notificato dalla madre, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, per il pagamento dell’assegno di mantenimento a favore della figlia, il Tribunale ha chiarito che tale autorizzazione non è necessaria, specificando che “la predisposizione e la notifica dell’atto di precetto, in relazione ad un provvedimento di dichiarazione della paternità e disciplinante l’aspetto patrimoniale, rientra negli atti di ordinaria amministrazione per i quali non è necessaria ex art. 320 c.c. l’autorizzazione”, essendo l’atto strumentale alla tutela dell’integrità economica del minore e privo di incidenza negativa sul patrimonio medesimo.

Tale orientamento è confermato dalla sentenza n. 791/2024 del Tribunale di Bari, che ha ribadito che con l’atto di precetto non si promuove un’azione giudiziaria, essendo tale atto prodromico all’esecuzione: in quanto atto stragiudiziale, non richiede l’autorizzazione del giudice tutelare.

Sono, inoltre, da ricordare le sentenze della Corte di Cassazione n. 743/2012 e n. 10930/2022, trattandosi di due pronunce rilevanti in materia di amministrazione del patrimonio dei minori e in particolare nella distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Nella prima, la Corte ha stabilito che l’autorizzazione del giudice tutelare è necessaria solo per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, ossia quelli che possono arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio del minore. Non è invece richiesta per atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni già facenti parte del patrimonio del soggetto incapace. Pertanto, azioni come l’intervento volontario in giudizio per contrastare una domanda di riconoscimento di un diritto di proprietà si configurano come atti di ordinaria amministrazione e, dunque, non è richiesta alcuna autorizzazione, poiché l’azione processuale assunta dal minore è assimilabile a quella di un convenuto.

Nella seconda, la Corte ha precisato che l’assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come la proposizione di un atto di appello per contrastare una sentenza di primo grado, è da considerarsi atto di ordinaria amministrazione: tale atto, essendo semplicemente diretto a resistere all’azione avversaria e a tutelare il patrimonio del minore, non richiede dunque l’autorizzazione del giudice tutelare.

Dai predetti principi si ricava che la valutazione circa il carattere ordinario o straordinario dell’atto da compiere nell’interesse del minore debba essere effettuata caso per caso, seguendo un criterio funzionale e prudenziale, tutelando l’interesse concreto del minore in ogni operazione patrimoniale.

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